Archiviate le festività natalizie, e smaltite (forse) tutte le calorie accumulate con struffoli, pastiere e roccocò. Il Napoletano ora guarda avanti. E’ quasi tempo di Carnevale, dove ogni piatto, ogni leccornia vale.
Che cos’è Carnevale?
La festa del Carnevale a Napoli, ha origini molto antiche. Il marchese Giovan Battista del Tufo in un’ opera del XVI secolo, racconta che il travestirsi era una festa esclusiva dell’ aristocrazia napoletana che partecipava a tornei e balli alla Corte Aragonese.
Ma intorno al 1600 qualcosa cambiò; le maschere avevano iniziato ad affascinare anche il popolo, spingendo quindi macellai, pescivendoli e contadini ad organizzare un Carnevale del popolo. Quindi l’ antico Carnevale di Napoli aveva una doppia faccia, una più nobile e aristocratica, l’ altra più semplice e popolana.
Il periodo più glorioso per il Carnevale fu con i Borbone, quando veniva festeggiato con carri allegorici arricchiti con cibo, salumi e formaggi, spesso preda di violenti saccheggi da parte dell’ affamato popolo napoletano. Siccome il saccheggio dei carri, provocava però, spesso incidenti, re Carlo di Borbone stabilì che i carri-cuccagna, invece di attraversare le strade cittadine, dovevano essere allestiti nel largo di Palazzo, e dovevano essere attentamente sorvegliati. Nel XVII e XVIII secolo, i carri furono sostituiti dall’ albero della cuccagna o palo di sapone che veniva reso scivoloso proprio grazie al sapone, in modo da rendere più difficile l’ arrampicata dei concorrenti, per arrivare alle leccornie poste in cima. Il gioco era finalizzato all’ abbuffata che a Napoli era l’ usanza da parte del popoli di saziarsi abbondantemente prima del lungo digiuno quaresimale.
A poco a poco i festeggiamenti del Carnevale si ridussero a feste rionali.
Su un carro troneggiava un grasso Carnevale sempre ornato di prosciutti e provoloni, accompagnato da donne in lacrime per la sua pessima salute, che recitavano le tristi diagnosi dei medici dei tre rioni più popolari (Mercato, Porto e Pendino) alle quali alternavano un generale e buon augurio di lunga vita: “E vuje ca l’avite visto st’anno/lu puzzate vedé ‘a ccà a cient’anne” (“e voi che l’avete visto quest’anno, lo possiate vedere da qui a cent’anni”). Interveniva quindi “‘O mast’ ‘e festa“ ( il maestro della festa) che andava in giro per le botteghe per racimolare qualcosa come rimborso delle spese sostenute.
Oggi di questo Carnevale, così festeggiato, resta ben poco, a parte i travestimenti dei bambini e qualche manifestazione organizzata in città. Ma in cucina i napoletani non perdono occasioni di ostentare la loro ricca gastronomia.
Andiamo un po’ a vedere…
Protagonista indiscussa è la lasagna; sfoglie di pasta fresca condite con un ricchissimo ragù di carne di maiale e polpette, un piatto che richiede tempo e pazienza. L’ ingrediente principale, infatti, è proprio il ragù, rigorosamente di maiale. Il ripieno della lasagna è fatto con ricotta di pecora, salame, uova sode, fior di latte e una spolverata di formaggio grattugiato.
La lasagna viene poi messa a cuocere in forno, finchè non si forma una crosta dorata in superficie.
Il secondo consiste, quindi, in un mix di carne al ragù; costine di maiale, braciole, salsicce e chi più ne ha… più ne metta.
La tradizione vuole che si preparino anche…fegatini di pollo arrostiti (particolarmente deliziosi, se fritti con la sugna), friarielli e un mix di salumi.
E’ giunto il momento di scatenarsi con il dolce… anzi con i dolci!
Avete mai sentito parlare del sanguinaccio? Ma cos’è? Come si prepara?
Andiamo a chiedere aiuto allo scrittore e napoletanista Amedeo Colella, che nel suo libro “ Mille Paraustielli di cucina napoletana” (tra i 5 libri sulla cucina del Sud Italia – consigliati dalla Gazzetta dello Sport) ci racconta un po’ la storia.
Sanguinaccio… perché? Un tempo, la ricetta prevedeva che tra gli ingredienti ci fosse il sangue fresco di maiale, perché nei primi mesi dell’anno era tradizione ammazzare il maiale e sappiamo tutti che… del maiale non si butta via nulla. Dal 1992, la vendita al pubblico del sangue di maiale è stata vietata, per cui o hai il tuo maiale o ti accontenti di una crema al cioccolato fondente ( e io direi, che è cosa buona e giusta).
Quindi sanguinaccio a cucchiaiate o spalmato su chiacchiere, o peggio ancora sul savoiardo che muore annegato nel sanguinaccio. Sì, anneghiamo il savoiardo, per vendicarci della invasione Savoia nel regno di Napoli. Ben gli sta!
Torniamo agli altri dolci di Carnevale; le chiacchiere. Deliziose nastrine, striscioline di pasta croccante che si preparano fritte o al forno (per chi proprio è a dieta), la graffa (soffice ciambella fritta a base di farina e patate, immersa poi nello zucchero), e il migliaccio.
Migliaccio… sapete cos’è? Il nome deriva dal miglio, un tipo di semola utilizzata in passato per biscotti e dolci regionali, sostituita poi con la semola di grano duro. Questo dolce tipico è fatto con semolina e ricotta aromatizzata al limone. Nei giorni precedenti il Martedì Grasso, le mamme e le nonne iniziano la preparazione, seguendo un’antica ricetta tramandata di generazione in generazione. Il migliaccio ha un sapore più o meno simile a quello della pastiera, di cui ingiustamente è considerato il parente povero.
Ultimi, ma non per bontà: i biscotti quaresimali! Preparati in convento proprio durante il periodo della Quaresima, così semplici e poveri di grassi che quasi non venivano considerati dolci. Un po’ tristi, lo ammettiamo, ma questo proprio perché come è noto “Quaraesema secca secca se magnava ‘a pacca secca” cioè durante la Quaresima si mangiava solo frutta secca, non si mangiavano dolci.
Credo proprio che…leggendo di tutte queste leccornie, vi sia venuta una gran voglia di visitare Napoli proprio durante il periodo del Carnevale. Bhè noi siamo qui… per organizzare il vostro viaggio nel minimo dettaglio, esperienze culinarie incluse. Unica raccomandazione… lasciate la dieta a casa!